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Dopo l’attacco diretto della veterinaria americana Tannetje Crocker, che si scagliava contro il “maledetto” slogan ADOPT DON’T SHOP (https://www.dvm360.com/view/adopt-don-t-shop-marketing-genius-or-shaming-slogan), a cui abbiamo risposto qui (https://adoptdontshop.eu/i-geni-del-marketing-non-siamo-noi/), a condire il piatto di una polemica incomprensibile quanto inutile ci pensa l’addestratore cinofilo Tommaso Castellano, che in questo articolo (https://www.scuolapercani.eu/articoli) spiega il suo punto di vista. Prima di entrare nel merito della questione, per la seconda volta e con una crescente irritazione, ci chiediamo cosa spinge a parlarne persone per le quali la materia risulta fondamentalmente irrilevante, persone che potrebbero serenamente proseguire nelle loro attività professionali senza necessariamente scivolare in ambiti esterni alle loro presunte competenze. Desiderio di onnipotenza, saccenteria morale? O c’è invece qualcos’altro dietro? Un livello inconscio che produce in loro un’incapacità di declinare i propri istinti di conservazione? Cosa spinge, quindi, certi “operatori” del settore a spingersi fin qui? Interessi diretti, forse? Tentativi di rassicurare i fornitori (gli intoccabili allevatori di cani)? Proviamo insieme a tirare qualche somma. Nell’altro articolo avevamo risposto alle accuse della dottoressa a stelle e strisce cercando di spiegarle quanto fossero non solo infondate, ma anacronistiche e fuorvianti. Ci siamo chiesti quale tipo di sensibilità e coscienza potesse essere toccata dallo slogan in questione. Sostanzialmente eravamo piuttosto destabilizzati e spaventati dalla veemenza, alla luce della posizione da lei espressa. Probabilmente abbiamo dedicato troppo tempo a pensare a ciò che invece, ora, sembra ovvio e davanti ai nostri occhi. Tempo perso in elucubrazioni sul perché potesse infastidire una veterinaria (che tra l’altro si mostra sui social con il suo notebook griffato da un bellissimo adesivo “I spay” – io sterilizzo -), a dimostrazione delle innumerevoli contraddizioni che girano attorno alla questione, per poi realizzare che la parola incriminata non fosse “adopt”  ma “don’t shop”. La sua pare una vera e propria dichiarazione di guerra verso chi si dimostra intenzionato a mettere un freno al commercio di cani. Chiedere ai futuri “compratori” di cuccioli (da allevamento, fiere del cucciolo o puppy-mills illegali) di “non comprare” è un messaggio pacifista e potente. Destabilizza le proiezioni di guadagno di varie categorie: gli allevatori innanzitutto, ma anche gli stessi veterinari e la pet economy nel suo insieme, che regola tutta la macchina produttiva raffinatamente e con messaggi subliminali e mediatici. Rispetto ad altri slogan utilizzati nelle lotte ambientali e nelle campagne di liberazione animale, in cui la rivendicazione politica è netta e quindi facilmente riconducibile ed etichettabile (e quindi anche semplice prenderne le distanze), proporre l’adozione di animali piuttosto che l’acquisto è un messaggio moderato e soprattutto non incita ad azioni dirette, sabotaggi e distruzione di gabbie (cosa che, seppure eticamente condivisibile, porta spesso ad infrangere la legge). Ed è forse per questo che disturba? E’ la riproducibilità di un semplice messaggio di contrarietà che infastidisce? Ma veniamo al dunque.

Castellano è un addestratore cinofilo Enci, come ce ne sono tanti, e proprio in questi giorni è sotto accusa per alcuni video da lui pubblicati (e poi cancellati) in cui si vedeva chiaramente il risultato dei suoi metodi tutt’altro che gentili (il tristemente famoso dog-trainer della tv Cesar Millan, tanto per intendersi, non gli fa neanche un baffo!). Sui suoi profili social sono presenti una serie interminabile di video e seminari promozionali in cui viene mostrato un profilo completamente differente: storie a lieto fino di cani provenienti da situazioni di maltrattamento che magicamente trovano la pace dei sensi e dormono con lui, altri che varcando il cancello del suo campo di addestramento si liberano delle psicosi che li avevano attanagliati fino al giorno prima e trascendono verso una vita equilibrata e un sano rapporto col proprio proprietario. Non è però il nostro scopo dimostrare che l’attività dell’addestratore cinofilo in questione (perfettamente regolare e legale, purtroppo) sia da criminalizzare, sia perché non è l’obiettivo di questo scritto sia perché non siamo noi le persone deputate a farlo (non siamo educatori cinofili né comportamentalisti, ndr).  Entriamo quindi nel merito dell’articolo di Tommaso Castellano e il suo magico mondo di cani “volanti e felici”.

“In alcuni paesi è diventato uno slogan: “ADOPT, DON’T SHOP!” *. Da quello che so, ci fanno magliette e adesivi, promuovendolo come qualcosa di positivo, quasi doveroso. In sostanza parliamo di quello che sarebbe anche un tema interessante per un cinofilo ben informato, ma che finisce per diventare la solita storia dei due poli contrapposti, in cui una parte vuole il bene dell’umanità e tutti gli altri sono scemi, o in malafede, o disonesti. Che faccio quindi: adotto un cane al canile (o da un’associazione) o mi compro – sborsando del denaro – un cane d’allevamento?”. T.C.

Le sembra così strano, signor Castellano, che lo slogan “Adopt don’t shop” venga promosso come qualcosa di positivo? Le sembra veramente così strano che un cane sia adottato? Ma dove vive? E’ forse rimasto intrappolato in una finestra temporale e non riesce a tornare dal 1979? Da dove dobbiamo partire Signor Castellano, per spiegarle come stanno le cose? Forse dall’età della pietra? Sul suo sito ha messo in bella mostra la definizione di cinofilia, immaginiamo ripresa da un qualsiasi dizionario. Purtroppo è una definizione esattamente da età della pietra, caro Signor Castellano. Amare i cani non significa allevarli. E nemmeno addestrarli; di certo non lo significa in un momento storico in cui i canili strabordano di detenuti a quattro zampe. Ed è forse proprio questo l’ingranaggio che non funziona, nel suo ragionamento dai poli contrapposti. Basta individuare un paio di dati e numeri per smontarlo. Ma è altresì ovvio che per risolvere questa dicotomia, disinteressati amanti dei cani e allevatori/addestratori, è necessario munirsi di un paio di qualità umane che apparentemente non le sono note: empatia e compassione. E non basta pubblicare un video in cui abbraccia un cane nel suo letto. Quello è marketing per i suoi clienti. Se il numero di soggetti aumenta del 3.5% annuo nel nostro paese (circa 320.000 cani), e di questi i cani adottati sono circa il 10% (quindi circa 32.000), viene facile capire che ogni dieci cani che entrano nelle famiglie degli italiani solo uno viene adottato. Quindi di cosa stiamo parlando se non della presunta fobia (la vostra) che aumentando le adozioni il bacino d’utenza di quelli che stanno dalla sua parte della barricata possa calare? Forse non sa come funzionano le cose negli altri paesi europei, o almeno in quelli più impegnati contro l’industria del pet. Forse non sa che in Inghilterra si stanno cercando di mettere fuorilegge le cucciolate amatoriali; in Germania, Austria, Scandinavia, Olanda e Belgio adottare un cane è la normalità e migliaia di famiglie fanno un vanto delle adozioni degli sfortunati cani provenienti dai paesi in cui l’urbanizzazione avanza senza che il controllo delle nascite sia tenuto sotto controllo. Forse non sa che l’Italia fa parte di questa seconda categoria allo sbando, con Grecia, Cipro, Spagna e i paesi dell’Est Europa? Evidentemente non lo sa, o se lo sa, non le interessa, perché i suoi clienti fanno parte di quella categoria di persone che il cane lo comprano e degli altri se ne fregano.

“Come spesso accade si fa l’errore di applicare ad un ambito molto complesso le regole e i criteri di valutazione validi in altri campi. Quando compriamo un telefono cellulare o un paio di scarpe che ci piacciono, facciamo delle valutazioni che sono di tipo puramente economico (“su Amazon costa meno che al Centro Commerciale!”e ZAC! Metto nel carrello e aspetto il corriere..). Perché è sbagliato applicare alla scelta di un cane questo criterio? Primo: non è corretto parlare di acquisto del cane, in quanto ciò che pago, quando prendo un cane in allevamento non è “il cane”. Un cane non è una cosa. Un cane da allevamento è il frutto di un lavoro di selezione da parte di persone che svolgono quel mestiere come professione. Persone che conoscono una specifica razza, che risponde a degli standard estetici e (soprattutto) comportamentali spesso radicati nei secoli. All’interno di questi parametri poi, vi sono le caratteristiche della cucciolata, dei singoli soggetti e delle aspettative del futuro padrone. Questo è ciò che pago: il lavoro di un professionista, certificato da un documento ufficiale” T.C.

Il cane non è una cosa, bravissimo! Ma siete voi che li portate al livello di mercificazione proprio delle “cose”. Siete voi che li vendete e li cedete, li scaricate in pensioni fatiscenti o li buttate spesso e volentieri in canile perché vi siete stufati o vi siete resi conto che avevate preso il cane superficialmente. Guardi i numeri, i soliti stramaledetti numeri, Signor Castellano: tendenzialmente circa l’85% delle cessioni di proprietà derivano dal vostro mondo (inclusi i vostri amici cacciatori); questo cosa le dovrebbe far intuire? Che chi adotta è mosso da un sentimento che va oltre l’estetica, la performance, la razza e il possesso di un cane di tendenza. Lo fa per spirito di solidarietà autentico! La cosa disgusta e dunque protesta? Il “lavoro di un professionista….”ma per favore!! La stragrande maggioranza degli allevatori lo fa solo per soldi, e seppur vero che è presente una componente frutto di un lavoro di selezione, non è di certo frutto dell’amore per il cane in sé ma per sé, per la morbosa ossessione di migliorare lo standard, renderlo più appetibile alle mode e per essere al passo con i tempi, con l’industria delle esposizioni e di tutti gli annessi e connessi. Fino a qualche anno fa moltissimi allevatori si liberavano in qualsiasi modo dei cani in avanzo, e solo grazie all’attenzione delle istituzioni (che poco hanno fatto, ma qualcosa hanno fatto) sono aumentati i controlli e ciò accade sempre meno. Si è mai chiesto perché gli allevatori contattino le associazioni protezioniste, i rescue o i volontari di canile per smaltire l’invenduto? Si è mai chiesto, per chiudere il cerchio e tornare a lei, da quali loschi traffici di esaltati arrivino la stragrande maggioranza dei cani fobici che lei tanto voracemente si vanta di saper rieducare? Si è mai chiesto perché nei soliti paesi di cui sopra sono presenti divieti per alcune razze? Si è mai chiesto perché in alcuni paesi vige l’obbligo di sterilizzazione per le femmine entro i 18 mesi di età? Ma secondo lei sono tutti scemi o qualcuno sta provando ad aiutare i cani veramente, non per mostrarsi sui social come fa lei? Chi diffonde lo slogan che lei sta denigrando lo fa gratis. Questo cosa significa secondo lei? Chi fa qualcosa gratis al giorno d’oggi? Solo uno stolto in mala fede non si renderebbe conto della realtà in cui sono invischiati i cani (e in cui sono invischiati da secoli ormai). Lei cerca solo di difendere una categoria che è quella che le permette di lavorare, tramite l’avallo della magnifica integerrima ENCI, che purtroppo è quello che è (pessima). Il lavoro che paga chi compra un cane è il lavoro di migliaia di allevatori (circa 5000, con affisso o senza, amatoriali o meno) di cui solo una minima parte può non essere considerata tra i maggiori responsabili di conseguenze nefaste per i cani e per la società tutta.

“Dato che parliamo di ‘sborsare’, considerate che potrebbe essere necessario pagare anche un altro professionista, come un addestratore per esempio, che venga con voi insieme in allevamento a scegliere il cane, cosa che consiglio caldamente. Secondo: come già detto altre volte la scelta di un cane va fatta solo se c’è un progetto di vita insieme al vostro amico, non per un trasporto emotivo. In questo senso, il contatto con degli allevatori vi metterà maggiormente di fronte alle responsabilità che avere un cane comporta, diversamente da quando si entra in contatto con associazioni o strutture che quasi sempre vi affideranno un cane semplicemente per “dargli una famiglia”, quando in realtà potreste non essere i soggetti adatti ad accogliere quello specifico animale, di quella razza (o meticcio che sia), con quelle caratteristiche”. T.C.

Peccato perché almeno una cosa giusta l’aveva detta. La scelta di un cane va fatta solo se c’è un progetto di vita insieme al vostro amico, non per un trasporto emotivo passeggero. Ottimo! Peccato che la stragrande maggioranza di chi si reca in allevamento lo faccia proprio per un trasporto emotivo effimero dei peggiori!! E che siano gli addestratori (coercitivi come lei) o addirittura gli allevatori ad accompagnare questi nuovi proprietari (o acquirenti) verso la scelta maggiormente consapevole è un’altra delle più grandi barzellette del secolo!! Vogliamo fare una prova? Scelga lei un qualsiasi allevamento e andiamo insieme con una telecamera nascosta. Vedremo con quanto equilibrio e disinteresse spacceranno i loro cani i produttori/venditori di cuccioli…  Ah, e già che ci siamo ricordiamoci anche di farci vedere le condizioni di vita di fattrici e maschi da monta, perché almeno saremo sicuri da dove arriva il nostro nuovo cucciolo! Spesso detenuti 24/365 in condizioni orrende, sono praticamente gli ultimi degli ultimi cani reietti, privati di ogni tipo di contatto umano e relazione, usati e sfruttati tutta la vita per produrre in serie e scartate le femmine a fine carriera. Sparate/i, buttati in un freezer o magicamente ceduti ad associazioni protezioniste o animaliste che se ne prenderanno amorevolmente cura affidandoli a quelle poche famiglie che si occupano di cani anziani e sfruttati. Alternativamente saranno sempre i volontari e le associazioni ad accompagnare alla morte queste povere creature che hanno solo avuto la sfiga di nascere in allevamento per il business dell’allevamento. Mai visto un allevatore sborsare un centesimo in più di quello che gli serve per la fase produttiva. Gli scarti si scartano, come al supermercato, caro Signor Castellano, non lo sapeva? E se qualcuno ci fosse sfuggito e l’avesse fatto, beh…se sta leggendo ci permettiamo di dirgli che è ancora in tempo per ricredersi e riconvertire il sentimento che nutre per i cani su ben altre vie in loro supporto.

“Questo significa quindi che i cani cosiddetti meticci o presi al canile siano per qualche motivo ‘inferiori’ o peggiori di quelli provenienti da un allevamento? Non necessariamente o meglio, conosco tanti cani non di razza/adottati che i padroni hanno imparato a gestire al meglio, alcuni eccellono nelle discipline sportive, non è questo il punto. Il punto è che un cane la cui provenienza non è certa, presenterà sicuramente più incognite. Ci metterà di fronte a situazioni impreviste e che forse faremo molta fatica a gestire”. T.C.

La confusione che la pervade è esageratamente incommensurabile. Oltre che insopportabile. Lei proprio non riesce a distinguere le priorità dalle fandonie. A lei interessa la disciplina, la purezza, l’identità fissa, la provenienza selezionata, la gestione ubbidiente, la superiorità o l’inferiorità. A noi non frega nulla di tutto questo. Per noi qualsiasi cane ha lo stesso diritto di vivere ed essere ben voluto. Ci battiamo (gratis) per far adottare cani appartenenti a razze o incroci di razze che possono diventare pericolose (lo sapete benissimo dato che li avete inventati voi!!) nonostante siamo favorevoli ad un legge che le renda illegali (oltre ai brachicefali e a tutte le razze in cui la genetica crudele si è trasformata in eugenetica). Ci battiamo per tutti i cani e ci rendiamo conto che l’unico modo per farne star bene il più alto numero possibile è, in questo mondo antropocentrico e specista, ridurre drasticamente le nascite. Voi invece cosa fate? State addirittura ri-mettendo in discussione le sterilizzazioni, bruciando vent’anni di campagne di sensibilizzazione al contenimento del danno che fate voi altri (non i cani randagi, notate bene: voi altri!!) Per cosa, se non per un evidente interesse personale che aderisce ad una visione del mondo perbenista, militaresca e capitalista?

“Quando la storia o la genealogia del cane non ci è nota però, i problemi da gestire potrebbero essere legati a tanti fattori o ancora, al fatto che il cane non ha avuto una corretta impregnazione e/o socializzazione (tappe fondamentali per il corretto sviluppo del cane). Un cane “timido” e dai “dolci occhioni”, per esempio, potrebbe rivelarsi un cane fobico e presentarvi una serie di sfide – e pericoli – notevoli. Non c’è quindi a parer mio una scelta più giusta delle altre, o più “etica”: ci sono parecchie valutazioni da fare prima di prendere un cane, anche se su una sola cosa sono categorico, fatevi consigliare da un professionista prima di fare una scelta così importante come quella di accogliere un cane nella vostra vita”. T.C.

In quest’ultimo paragrafo, per una volta, si è centrato almeno un punto. L’individualità del cane come prerogativa insopprimibile di essere senziente e dignitoso. Peccato che il punto di vista (ancora una volta) non è quello corretto. Non c’è spirito di collettività in voi, inteso come intreccio in cui le individualità si rendono possibili, e l’individualità stessa si trasforma in fanatico individualismo e la dignità del comune in convenienza mirata al tornaconto dell’umano padrone. E si permette anche di tirare fuori l’etica? Nessuna eticità riguarda il mondo che lei rappresenta, Signor Castellano. Non menta! Il suo consiglio finale, poi, è da cabaret: “fatevi consigliare da un professionista!!”. E certo…così lei ci guadagna prima, durante e dopo. In eterno e profumatamente! Come diceva in un video sui social? Che possiede un’auto da 35000 euro? E chi se ne fotte.

Un totale fallimento, il suo approccio e quello di coloro i quali declinano la questione animale con l’esercizio del più bieco antropocentrismo. Dal punto di vista sociale, etico (dal punto vista etimologico fare il bene in un relativo contesto), ma anche (pur non essendo di nostra competenza) educazionista (educare non come crescere insieme ma come sottomettere). Per questo è molto importante far passare il messaggio appropriato. Vorremmo che si riflettesse su alcuni aspetti in modo tale da arrivare ad una maggior consapevolezza di cosa lei tira volgarmente in ballo a discapito del destino dei cani:

La maggior parte degli animali da compagnia maltrattati proviene dai seguenti ambiti:

  • Caccia e mondo venatorio 35%
  • Guardia e difesa 25%
  • Violenza domestica generica 40%

Segue che, il 60% dei casi di maltrattamento animale avviene in contesti in cui l’uomo utilizza il pet per attività che nulla hanno a che fare con una sana vita relazionale. E, ad occhi attenti ed esperti, non sfugge nemmeno che le violenze domestiche si perpetrano laddove il cane è vissuto come un oggetto da compagnia o da qualsiasi altra funzione, trattato con metodi svilenti, violenti ed ignoranti. I cani da caccia vivono in condizioni di negligenza nella stragrande maggioranza dei casi, ed essendo di indole tranquilla e dopo aver passato generazioni di selezione specifica, sono quasi geneticamente predisposti a subire le prevaricazioni dell’uomo. I cani da guardia e difesa vengono specificatamente selezionati per offendere e difendere, e la presa di possesso da parte di proprietari che li rendono delle macchine per loro è solo l’inizio di un incubo senza fine. Ce lo dica Castellano: lei è favorevole alla caccia e all’utilità e difesa? Ma lo sappiamo già, non serve. Ce lo dice a chiare lettere l’ente che le fornisce il patentino. Grazie lo stesso.

Viene quindi da sé concludere che lo slogan “Adopt don’t Shop” è nato per consolidare la sensibilizzazione generale ad adottare un cane piuttosto che acquistarlo, solo ed esclusivamente per i motivi che seguono:

  • Contrastare il business degli allevatori ed in particolare dei multirazza, dediti ad una mercificazione senza scrupoli.
  • Contrastare l’attività venatoria a tutto campo.
  • Mettere in evidenza che la scelta migliore attualmente si configura nell’adozione. Adottando un cane (meglio se anziano o malato) si aiutano i rifugi e i veri volontari attivi per altri cani e gatti in difficoltà.
  • Mettere in evidenza che il sempre più crescente interesse verso gli animali da compagnia (dimostrato dai numeri) innesca una serie di conseguenze, solo apparentemente positive, che sostanzialmente portano ad un incremento esponenziale della popolazione canina (stiamo parlando del doppio dei soggetti presenti sul territorio nazionale in circa 15 anni). La presenza sempre più massiccia dei cani nei media e nelle pubblicità induce una fetta sempre più ampia di popolazione ad avvicinarsi e a possedere un cane o un gatto senza minimamente avere coscienza e soprattutto responsabilità di cosa significhi, seguendo dinamiche emulative e tendenze esibizionistiche (basti pensare alla diffusione dei cani di razza Bouldouge Francaise per farsi un’idea).
  • Ricordare che in gran parte delle zone rurali del nostro paese esistono ancora realtà agro-pastorali in cui è normale considerare gli animali come fastidi da usare ed eliminare, come si consideravano mezzo secolo fa. Questo porta a tragedie che i volontari cercano disperatamente di arginare, trovandosi spesso a combattere battaglie contro i mulini a vento. Nelle stesse zone, la diffusione (anche se in minima parte rispetto al nord) di fenomeni come il “cane-moda” portano inevitabilmente ad un sovrannumero di problemi che rende la situazione ingestibile. (Banalmente, le centinaia di cucciolate che si succedono nelle campagne – per l’ignoranza di alcuni – non trovano collocazione perché buona parte della popolazione locale, nel caso in cui decide di avere un cane, prende un cane di razza, perché il meticcio non è “puro”, “sano come lo voglio io” e via discorrendo).
  • Ricordare che l’adozione e la sterilizzazione sono il principale argine al business delle zoo-mafie (le gestioni dei canili privati o comunali da parte di imprenditori senza scrupoli che fanno del profitto l’unico fattore in gioco). Meno cani escono dal canile, più cresce e si consolida il fatturato. Gestori che per migliorare la facciata imprenditoriale del proprio business annettono campi di addestramento o allevamento, per far credere al pubblico che “tutto è in regola”. In realtà la stragrande maggioranza dei cani presenti all’interno delle strutture principali sono il vero core-business dell’attività, e nonostante l’obbligo di legge imponga la sponsorizzazione degli stessi all’adozione (così dice la vecchia ed ormai decrepita 281/91), queste non avvengono perché praticamente nessuno è interessato ad adottare meticci accalappiati, mai socializzati, condannati a vivere 24/365 tra cemento e ferro e quindi invecchiati ed inappetibili.
  • Proporre alla popolazione (che si avvicina sempre di più agli animali cosiddetti “da compagnia”) una crescita culturale, seguendo l’esempio della maggioranza degli altri stati Europei e non solo (Canada, Australia, Turchia, Usa in parte), che considerano l’adozione come una necessità e che iniziano a realizzare interessantissime forme di supporto a tutela delle libere comunità di cani e gatti presenti sul territorio. Superando la barriera sociale che ancora in Italia vede predominanti le realtà di cinofilia estrema e l’addestramento coercitivo che si oppongono alla creazione di liste di cani pericolosi la cui diffusione e allevamento è alla base della maggioranza di casi di maltrattamento. Il fenomeno dilagante dei pit(bull) in canile sono a testimonianza di chi vuole approfondire per capire non a chi credere, ma come stanno le cose. Cani resi da chi li concepisce fragili e potenti allo stesso tempo, per soddisfare il machismo dei lanciatori di cani in aria, che finiscono a marcire in un box….lontano dagli occhi e lontano dai cuori. Stesso discorso che riguarda il suo povero Malinois. Tommaso Castellano: se fosse vero che l’hai salvato, sei sempre tu – e quei tanti come te – ad averlo condannato, pima durante e dopo la tua venuta!!