FACTS, NEWS AND TESTIMONIALS
I cani “volanti e felici” di T.C.
posted on 03/01/2021
Dopo l’attacco diretto della veterinaria americana Tannetje Crocker, che si scagliava contro il “maledetto” slogan ADOPT DON’T SHOP (https://www.dvm360.com/view/adopt-don-t-shop-marketing-genius-or-shaming-slogan), a cui abbiamo risposto qui (http://adoptdontshop.eu/i-geni-del-marketing-non-siamo-noi/), a condire il piatto di una polemica incomprensibile quanto inutile ci pensa l’addestratore cinofilo Tommaso Castellano, che in questo articolo (https://www.scuolapercani.eu/articoli) spiega il suo punto di vista. Prima di entrare nel merito della questione, per la seconda volta e con una crescente irritazione, ci chiediamo cosa spinge a parlarne persone per le quali la materia risulta fondamentalmente irrilevante, persone che potrebbero serenamente proseguire nelle loro attività professionali senza necessariamente scivolare in ambiti esterni alle loro presunte competenze. Desiderio di onnipotenza, saccenteria morale? O c’è invece qualcos’altro dietro? Un livello inconscio che produce in loro un’incapacità di declinare i propri istinti di conservazione? Cosa spinge, quindi, certi “operatori” del settore a spingersi fin qui? Interessi diretti, forse? Tentativi di rassicurare i fornitori (gli intoccabili allevatori di cani)? Proviamo insieme a tirare qualche somma. Nell’altro articolo avevamo risposto alle accuse della dottoressa a stelle e strisce cercando di spiegarle quanto fossero non solo infondate, ma anacronistiche e fuorvianti. Ci siamo chiesti quale tipo di sensibilità e coscienza potesse essere toccata dallo slogan in questione. Sostanzialmente eravamo piuttosto destabilizzati e spaventati dalla veemenza, alla luce della posizione da lei espressa. Probabilmente abbiamo dedicato troppo tempo a pensare a ciò che invece, ora, sembra ovvio e davanti ai nostri occhi. Tempo perso in elucubrazioni sul perché potesse infastidire una veterinaria (che tra l’altro si mostra sui social con il suo notebook griffato da un bellissimo adesivo “I spay” – io sterilizzo -), a dimostrazione delle innumerevoli contraddizioni che girano attorno alla questione, per poi realizzare che la parola incriminata non fosse “adopt” ma “don’t shop”. La sua pare una vera e propria dichiarazione di guerra verso chi si dimostra intenzionato a mettere un freno al commercio di cani. Chiedere ai futuri “compratori” di cuccioli (da allevamento, fiere del cucciolo o puppy-mills illegali) di “non comprare” è un messaggio pacifista e potente. Destabilizza le proiezioni di guadagno di varie categorie: gli allevatori innanzitutto, ma anche gli stessi veterinari e la pet economy nel suo insieme, che regola tutta la macchina produttiva raffinatamente e con messaggi subliminali e mediatici. Rispetto ad altri slogan utilizzati nelle lotte ambientali e nelle campagne di liberazione animale, in cui la rivendicazione politica è netta e quindi facilmente riconducibile ed etichettabile (e quindi anche semplice prenderne le distanze), proporre l’adozione di animali piuttosto che l’acquisto è un messaggio moderato e soprattutto non incita ad azioni dirette, sabotaggi e distruzione di gabbie (cosa che, seppure eticamente condivisibile, porta spesso ad infrangere la legge). Ed è forse per questo che disturba? E’ la riproducibilità di un semplice messaggio di contrarietà che infastidisce? Ma veniamo al dunque.
Castellano è un addestratore cinofilo Enci, come ce ne sono tanti, e proprio in questi giorni è sotto accusa per alcuni video da lui pubblicati (e poi cancellati) in cui si vedeva chiaramente il risultato dei suoi metodi tutt’altro che gentili (il tristemente famoso dog-trainer della tv Cesar Millan, tanto per intendersi, non gli fa neanche un baffo!). Sui suoi profili social sono presenti una serie interminabile di video e seminari promozionali in cui viene mostrato un profilo completamente differente: storie a lieto fino di cani provenienti da situazioni di maltrattamento che magicamente trovano la pace dei sensi e dormono con lui, altri che varcando il cancello del suo campo di addestramento si liberano delle psicosi che li avevano attanagliati fino al giorno prima e trascendono verso una vita equilibrata e un sano rapporto col proprio proprietario. Non è però il nostro scopo dimostrare che l’attività dell’addestratore cinofilo in questione (perfettamente regolare e legale, purtroppo) sia da criminalizzare, sia perché non è l’obiettivo di questo scritto sia perché non siamo noi le persone deputate a farlo (non siamo educatori cinofili né comportamentalisti, ndr). Entriamo quindi nel merito dell’articolo di Tommaso Castellano e il suo magico mondo di cani “volanti e felici”.
“In alcuni paesi è diventato uno slogan: “ADOPT, DON’T SHOP!” *. Da quello che so, ci fanno magliette e adesivi, promuovendolo come qualcosa di positivo, quasi doveroso. In sostanza parliamo di quello che sarebbe anche un tema interessante per un cinofilo ben informato, ma che finisce per diventare la solita storia dei due poli contrapposti, in cui una parte vuole il bene dell’umanità e tutti gli altri sono scemi, o in malafede, o disonesti. Che faccio quindi: adotto un cane al canile (o da un’associazione) o mi compro – sborsando del denaro – un cane d’allevamento?”. T.C.
Le sembra così strano, signor Castellano, che lo slogan “Adopt don’t shop” venga promosso come qualcosa di positivo? Le sembra veramente così strano che un cane sia adottato? Ma dove vive? E’ forse rimasto intrappolato in una finestra temporale e non riesce a tornare dal 1979? Da dove dobbiamo partire Signor Castellano, per spiegarle come stanno le cose? Forse dall’età della pietra? Sul suo sito ha messo in bella mostra la definizione di cinofilia, immaginiamo ripresa da un qualsiasi dizionario. Purtroppo è una definizione esattamente da età della pietra, caro Signor Castellano. Amare i cani non significa allevarli. E nemmeno addestrarli; di certo non lo significa in un momento storico in cui i canili strabordano di detenuti a quattro zampe. Ed è forse proprio questo l’ingranaggio che non funziona, nel suo ragionamento dai poli contrapposti. Basta individuare un paio di dati e numeri per smontarlo. Ma è altresì ovvio che per risolvere questa dicotomia, disinteressati amanti dei cani e allevatori/addestratori, è necessario munirsi di un paio di qualità umane che apparentemente non le sono note: empatia e compassione. E non basta pubblicare un video in cui abbraccia un cane nel suo letto. Quello è marketing per i suoi clienti. Se il numero di soggetti aumenta del 3.5% annuo nel nostro paese (circa 320.000 cani), e di questi i cani adottati sono circa il 10% (quindi circa 32.000), viene facile capire che ogni dieci cani che entrano nelle famiglie degli italiani solo uno viene adottato. Quindi di cosa stiamo parlando se non della presunta fobia (la vostra) che aumentando le adozioni il bacino d’utenza di quelli che stanno dalla sua parte della barricata possa calare? Forse non sa come funzionano le cose negli altri paesi europei, o almeno in quelli più impegnati contro l’industria del pet. Forse non sa che in Inghilterra si stanno cercando di mettere fuorilegge le cucciolate amatoriali; in Germania, Austria, Scandinavia, Olanda e Belgio adottare un cane è la normalità e migliaia di famiglie fanno un vanto delle adozioni degli sfortunati cani provenienti dai paesi in cui l’urbanizzazione avanza senza che il controllo delle nascite sia tenuto sotto controllo. Forse non sa che l’Italia fa parte di questa seconda categoria allo sbando, con Grecia, Cipro, Spagna e i paesi dell’Est Europa? Evidentemente non lo sa, o se lo sa, non le interessa, perché i suoi clienti fanno parte di quella categoria di persone che il cane lo comprano e degli altri se ne fregano.
“Come spesso accade si fa l’errore di applicare ad un ambito molto complesso le regole e i criteri di valutazione validi in altri campi. Quando compriamo un telefono cellulare o un paio di scarpe che ci piacciono, facciamo delle valutazioni che sono di tipo puramente economico (“su Amazon costa meno che al Centro Commerciale!”e ZAC! Metto nel carrello e aspetto il corriere..). Perché è sbagliato applicare alla scelta di un cane questo criterio? Primo: non è corretto parlare di acquisto del cane, in quanto ciò che pago, quando prendo un cane in allevamento non è “il cane”. Un cane non è una cosa. Un cane da allevamento è il frutto di un lavoro di selezione da parte di persone che svolgono quel mestiere come professione. Persone che conoscono una specifica razza, che risponde a degli standard estetici e (soprattutto) comportamentali spesso radicati nei secoli. All’interno di questi parametri poi, vi sono le caratteristiche della cucciolata, dei singoli soggetti e delle aspettative del futuro padrone. Questo è ciò che pago: il lavoro di un professionista, certificato da un documento ufficiale” T.C.
Il cane non è una cosa, bravissimo! Ma siete voi che li portate al livello di mercificazione proprio delle “cose”. Siete voi che li vendete e li cedete, li scaricate in pensioni fatiscenti o li buttate spesso e volentieri in canile perché vi siete stufati o vi siete resi conto che avevate preso il cane superficialmente. Guardi i numeri, i soliti stramaledetti numeri, Signor Castellano: tendenzialmente circa l’85% delle cessioni di proprietà derivano dal vostro mondo (inclusi i vostri amici cacciatori); questo cosa le dovrebbe far intuire? Che chi adotta è mosso da un sentimento che va oltre l’estetica, la performance, la razza e il possesso di un cane di tendenza. Lo fa per spirito di solidarietà autentico! La cosa disgusta e dunque protesta? Il “lavoro di un professionista….”ma per favore!! La stragrande maggioranza degli allevatori lo fa solo per soldi, e seppur vero che è presente una componente frutto di un lavoro di selezione, non è di certo frutto dell’amore per il cane in sé ma per sé, per la morbosa ossessione di migliorare lo standard, renderlo più appetibile alle mode e per essere al passo con i tempi, con l’industria delle esposizioni e di tutti gli annessi e connessi. Fino a qualche anno fa moltissimi allevatori si liberavano in qualsiasi modo dei cani in avanzo, e solo grazie all’attenzione delle istituzioni (che poco hanno fatto, ma qualcosa hanno fatto) sono aumentati i controlli e ciò accade sempre meno. Si è mai chiesto perché gli allevatori contattino le associazioni protezioniste, i rescue o i volontari di canile per smaltire l’invenduto? Si è mai chiesto, per chiudere il cerchio e tornare a lei, da quali loschi traffici di esaltati arrivino la stragrande maggioranza dei cani fobici che lei tanto voracemente si vanta di saper rieducare? Si è mai chiesto perché nei soliti paesi di cui sopra sono presenti divieti per alcune razze? Si è mai chiesto perché in alcuni paesi vige l’obbligo di sterilizzazione per le femmine entro i 18 mesi di età? Ma secondo lei sono tutti scemi o qualcuno sta provando ad aiutare i cani veramente, non per mostrarsi sui social come fa lei? Chi diffonde lo slogan che lei sta denigrando lo fa gratis. Questo cosa significa secondo lei? Chi fa qualcosa gratis al giorno d’oggi? Solo uno stolto in mala fede non si renderebbe conto della realtà in cui sono invischiati i cani (e in cui sono invischiati da secoli ormai). Lei cerca solo di difendere una categoria che è quella che le permette di lavorare, tramite l’avallo della magnifica integerrima ENCI, che purtroppo è quello che è (pessima). Il lavoro che paga chi compra un cane è il lavoro di migliaia di allevatori (circa 5000, con affisso o senza, amatoriali o meno) di cui solo una minima parte può non essere considerata tra i maggiori responsabili di conseguenze nefaste per i cani e per la società tutta.
“Dato che parliamo di ‘sborsare’, considerate che potrebbe essere necessario pagare anche un altro professionista, come un addestratore per esempio, che venga con voi insieme in allevamento a scegliere il cane, cosa che consiglio caldamente. Secondo: come già detto altre volte la scelta di un cane va fatta solo se c’è un progetto di vita insieme al vostro amico, non per un trasporto emotivo. In questo senso, il contatto con degli allevatori vi metterà maggiormente di fronte alle responsabilità che avere un cane comporta, diversamente da quando si entra in contatto con associazioni o strutture che quasi sempre vi affideranno un cane semplicemente per “dargli una famiglia”, quando in realtà potreste non essere i soggetti adatti ad accogliere quello specifico animale, di quella razza (o meticcio che sia), con quelle caratteristiche”. T.C.
Peccato perché almeno una cosa giusta l’aveva detta. La scelta di un cane va fatta solo se c’è un progetto di vita insieme al vostro amico, non per un trasporto emotivo passeggero. Ottimo! Peccato che la stragrande maggioranza di chi si reca in allevamento lo faccia proprio per un trasporto emotivo effimero dei peggiori!! E che siano gli addestratori (coercitivi come lei) o addirittura gli allevatori ad accompagnare questi nuovi proprietari (o acquirenti) verso la scelta maggiormente consapevole è un’altra delle più grandi barzellette del secolo!! Vogliamo fare una prova? Scelga lei un qualsiasi allevamento e andiamo insieme con una telecamera nascosta. Vedremo con quanto equilibrio e disinteresse spacceranno i loro cani i produttori/venditori di cuccioli… Ah, e già che ci siamo ricordiamoci anche di farci vedere le condizioni di vita di fattrici e maschi da monta, perché almeno saremo sicuri da dove arriva il nostro nuovo cucciolo! Spesso detenuti 24/365 in condizioni orrende, sono praticamente gli ultimi degli ultimi cani reietti, privati di ogni tipo di contatto umano e relazione, usati e sfruttati tutta la vita per produrre in serie e scartate le femmine a fine carriera. Sparate/i, buttati in un freezer o magicamente ceduti ad associazioni protezioniste o animaliste che se ne prenderanno amorevolmente cura affidandoli a quelle poche famiglie che si occupano di cani anziani e sfruttati. Alternativamente saranno sempre i volontari e le associazioni ad accompagnare alla morte queste povere creature che hanno solo avuto la sfiga di nascere in allevamento per il business dell’allevamento. Mai visto un allevatore sborsare un centesimo in più di quello che gli serve per la fase produttiva. Gli scarti si scartano, come al supermercato, caro Signor Castellano, non lo sapeva? E se qualcuno ci fosse sfuggito e l’avesse fatto, beh…se sta leggendo ci permettiamo di dirgli che è ancora in tempo per ricredersi e riconvertire il sentimento che nutre per i cani su ben altre vie in loro supporto.
“Questo significa quindi che i cani cosiddetti meticci o presi al canile siano per qualche motivo ‘inferiori’ o peggiori di quelli provenienti da un allevamento? Non necessariamente o meglio, conosco tanti cani non di razza/adottati che i padroni hanno imparato a gestire al meglio, alcuni eccellono nelle discipline sportive, non è questo il punto. Il punto è che un cane la cui provenienza non è certa, presenterà sicuramente più incognite. Ci metterà di fronte a situazioni impreviste e che forse faremo molta fatica a gestire”. T.C.
La confusione che la pervade è esageratamente incommensurabile. Oltre che insopportabile. Lei proprio non riesce a distinguere le priorità dalle fandonie. A lei interessa la disciplina, la purezza, l’identità fissa, la provenienza selezionata, la gestione ubbidiente, la superiorità o l’inferiorità. A noi non frega nulla di tutto questo. Per noi qualsiasi cane ha lo stesso diritto di vivere ed essere ben voluto. Ci battiamo (gratis) per far adottare cani appartenenti a razze o incroci di razze che possono diventare pericolose (lo sapete benissimo dato che li avete inventati voi!!) nonostante siamo favorevoli ad un legge che le renda illegali (oltre ai brachicefali e a tutte le razze in cui la genetica crudele si è trasformata in eugenetica). Ci battiamo per tutti i cani e ci rendiamo conto che l’unico modo per farne star bene il più alto numero possibile è, in questo mondo antropocentrico e specista, ridurre drasticamente le nascite. Voi invece cosa fate? State addirittura ri-mettendo in discussione le sterilizzazioni, bruciando vent’anni di campagne di sensibilizzazione al contenimento del danno che fate voi altri (non i cani randagi, notate bene: voi altri!!) Per cosa, se non per un evidente interesse personale che aderisce ad una visione del mondo perbenista, militaresca e capitalista?
“Quando la storia o la genealogia del cane non ci è nota però, i problemi da gestire potrebbero essere legati a tanti fattori o ancora, al fatto che il cane non ha avuto una corretta impregnazione e/o socializzazione (tappe fondamentali per il corretto sviluppo del cane). Un cane “timido” e dai “dolci occhioni”, per esempio, potrebbe rivelarsi un cane fobico e presentarvi una serie di sfide – e pericoli – notevoli. Non c’è quindi a parer mio una scelta più giusta delle altre, o più “etica”: ci sono parecchie valutazioni da fare prima di prendere un cane, anche se su una sola cosa sono categorico, fatevi consigliare da un professionista prima di fare una scelta così importante come quella di accogliere un cane nella vostra vita”. T.C.
In quest’ultimo paragrafo, per una volta, si è centrato almeno un punto. L’individualità del cane come prerogativa insopprimibile di essere senziente e dignitoso. Peccato che il punto di vista (ancora una volta) non è quello corretto. Non c’è spirito di collettività in voi, inteso come intreccio in cui le individualità si rendono possibili, e l’individualità stessa si trasforma in fanatico individualismo e la dignità del comune in convenienza mirata al tornaconto dell’umano padrone. E si permette anche di tirare fuori l’etica? Nessuna eticità riguarda il mondo che lei rappresenta, Signor Castellano. Non menta! Il suo consiglio finale, poi, è da cabaret: “fatevi consigliare da un professionista!!”. E certo…così lei ci guadagna prima, durante e dopo. In eterno e profumatamente! Come diceva in un video sui social? Che possiede un’auto da 35000 euro? E chi se ne fotte.
Un totale fallimento, il suo approccio e quello di coloro i quali declinano la questione animale con l’esercizio del più bieco antropocentrismo. Dal punto di vista sociale, etico (dal punto vista etimologico fare il bene in un relativo contesto), ma anche (pur non essendo di nostra competenza) educazionista (educare non come crescere insieme ma come sottomettere). Per questo è molto importante far passare il messaggio appropriato. Vorremmo che si riflettesse su alcuni aspetti in modo tale da arrivare ad una maggior consapevolezza di cosa lei tira volgarmente in ballo a discapito del destino dei cani:
La maggior parte degli animali da compagnia maltrattati proviene dai seguenti ambiti:
- Caccia e mondo venatorio 35%
- Guardia e difesa 25%
- Violenza domestica generica 40%
Segue che, il 60% dei casi di maltrattamento animale avviene in contesti in cui l’uomo utilizza il pet per attività che nulla hanno a che fare con una sana vita relazionale. E, ad occhi attenti ed esperti, non sfugge nemmeno che le violenze domestiche si perpetrano laddove il cane è vissuto come un oggetto da compagnia o da qualsiasi altra funzione, trattato con metodi svilenti, violenti ed ignoranti. I cani da caccia vivono in condizioni di negligenza nella stragrande maggioranza dei casi, ed essendo di indole tranquilla e dopo aver passato generazioni di selezione specifica, sono quasi geneticamente predisposti a subire le prevaricazioni dell’uomo. I cani da guardia e difesa vengono specificatamente selezionati per offendere e difendere, e la presa di possesso da parte di proprietari che li rendono delle macchine per loro è solo l’inizio di un incubo senza fine. Ce lo dica Castellano: lei è favorevole alla caccia e all’utilità e difesa? Ma lo sappiamo già, non serve. Ce lo dice a chiare lettere l’ente che le fornisce il patentino. Grazie lo stesso.
Viene quindi da sé concludere che lo slogan “Adopt don’t Shop” è nato per consolidare la sensibilizzazione generale ad adottare un cane piuttosto che acquistarlo, solo ed esclusivamente per i motivi che seguono:
- Contrastare il business degli allevatori ed in particolare dei multirazza, dediti ad una mercificazione senza scrupoli.
- Contrastare l’attività venatoria a tutto campo.
- Mettere in evidenza che la scelta migliore attualmente si configura nell’adozione. Adottando un cane (meglio se anziano o malato) si aiutano i rifugi e i veri volontari attivi per altri cani e gatti in difficoltà.
- Mettere in evidenza che il sempre più crescente interesse verso gli animali da compagnia (dimostrato dai numeri) innesca una serie di conseguenze, solo apparentemente positive, che sostanzialmente portano ad un incremento esponenziale della popolazione canina (stiamo parlando del doppio dei soggetti presenti sul territorio nazionale in circa 15 anni). La presenza sempre più massiccia dei cani nei media e nelle pubblicità induce una fetta sempre più ampia di popolazione ad avvicinarsi e a possedere un cane o un gatto senza minimamente avere coscienza e soprattutto responsabilità di cosa significhi, seguendo dinamiche emulative e tendenze esibizionistiche (basti pensare alla diffusione dei cani di razza Bouldouge Francaise per farsi un’idea).
- Ricordare che in gran parte delle zone rurali del nostro paese esistono ancora realtà agro-pastorali in cui è normale considerare gli animali come fastidi da usare ed eliminare, come si consideravano mezzo secolo fa. Questo porta a tragedie che i volontari cercano disperatamente di arginare, trovandosi spesso a combattere battaglie contro i mulini a vento. Nelle stesse zone, la diffusione (anche se in minima parte rispetto al nord) di fenomeni come il “cane-moda” portano inevitabilmente ad un sovrannumero di problemi che rende la situazione ingestibile. (Banalmente, le centinaia di cucciolate che si succedono nelle campagne – per l’ignoranza di alcuni – non trovano collocazione perché buona parte della popolazione locale, nel caso in cui decide di avere un cane, prende un cane di razza, perché il meticcio non è “puro”, “sano come lo voglio io” e via discorrendo).
- Ricordare che l’adozione e la sterilizzazione sono il principale argine al business delle zoo-mafie (le gestioni dei canili privati o comunali da parte di imprenditori senza scrupoli che fanno del profitto l’unico fattore in gioco). Meno cani escono dal canile, più cresce e si consolida il fatturato. Gestori che per migliorare la facciata imprenditoriale del proprio business annettono campi di addestramento o allevamento, per far credere al pubblico che “tutto è in regola”. In realtà la stragrande maggioranza dei cani presenti all’interno delle strutture principali sono il vero core-business dell’attività, e nonostante l’obbligo di legge imponga la sponsorizzazione degli stessi all’adozione (così dice la vecchia ed ormai decrepita 281/91), queste non avvengono perché praticamente nessuno è interessato ad adottare meticci accalappiati, mai socializzati, condannati a vivere 24/365 tra cemento e ferro e quindi invecchiati ed inappetibili.
- Proporre alla popolazione (che si avvicina sempre di più agli animali cosiddetti “da compagnia”) una crescita culturale, seguendo l’esempio della maggioranza degli altri stati Europei e non solo (Canada, Australia, Turchia, Usa in parte), che considerano l’adozione come una necessità e che iniziano a realizzare interessantissime forme di supporto a tutela delle libere comunità di cani e gatti presenti sul territorio. Superando la barriera sociale che ancora in Italia vede predominanti le realtà di cinofilia estrema e l’addestramento coercitivo che si oppongono alla creazione di liste di cani pericolosi la cui diffusione e allevamento è alla base della maggioranza di casi di maltrattamento. Il fenomeno dilagante dei pit(bull) in canile sono a testimonianza di chi vuole approfondire per capire non a chi credere, ma come stanno le cose. Cani resi da chi li concepisce fragili e potenti allo stesso tempo, per soddisfare il machismo dei lanciatori di cani in aria, che finiscono a marcire in un box….lontano dagli occhi e lontano dai cuori. Stesso discorso che riguarda il suo povero Malinois. Tommaso Castellano: se fosse vero che l’hai salvato, sei sempre tu – e quei tanti come te – ad averlo condannato, pima durante e dopo la tua venuta!!
I “geni del marketing” non siamo di certo noi!!
posted on 29/11/2020
In questo articolo su DVM360, un magazine di informazione veterinaria rivolto al mercato americano, la Dottoressa Tannetje Crocker si scaglia contro lo slogan Adopt don’t Shop, accusandolo addirittura di essere una “genialità del marketing e/o uno slogan vergognoso (o disgraziato a seconda della migliore traduzione che gli si vuole attribuire)”. Quando si inciampa in queste faccende viene voglia di mollare tutto, di buttare nel cesso anni di ricerche, fatiche, minacce, gomme bucate e battaglie contro i mulini e vento. Oltre che un sacco di soldi impegnati senza alcun ritorno se non per amore della causa e per provare a regalare un destino migliore a centinaia di animali che altrimenti avrebbero visto la fine dei loro giorni dietro squallide gabbie. Anche i veterinari lo fanno (molto spesso) per passione. E della passione ne fanno una professione. Più che onorevole, anche perché sono senza dubbio loro l’ingranaggio più importante della catena. Invece si fa fatica a trovare qualcuno che si occupi di cani, gatti e altri pets per passione e lo fa gratis, per una missione di vita ed esclusivamente per il bene degli animali. Tra questi ci sono sicuramente i volontari delle tantissime associazioni protezioniste e animaliste presenti nelle centinaia di canili e rifugi (spesso veri e propri lager), che lottano da sempre conto tutto e tutti, che fanno spesso le veci delle istituzioni e si ritrovano pure con delle dichiarazioni fiscali da compilare a fine anno per dimostrare che spese ed entrate non producano profitti. Gente che dedica il proprio tempo a spalare le feci e donare un minimo di amore e affetto in un qualsiasi canile, per compensare le inefficienze del gestore privato di turno che invece minaccia, urla, spesso gira in Bmw (comprato con i soldi fatti sulla pelle dei cani) e quando gli gira gli mette (ai volontari) anche i bastoni fra le ruote, inventandosi scuse per non farli entrare (e per non far uscire i cani), per non parlare di cose molto peggiori. Sono questi i portatori di quel vergognoso slogan. Persone che cercano di diffondere messaggi positivi e non “strategie di marketing”. Ma il clamoroso successo della pet industry degli ultimi vent’anni ha veicolato la genesi di dinamiche ultra distorte, tra le altre cose: approfittando della diffusione del concetto di benessere animale, dell’adozione, dell’utilità del microchip e delle sterilizzazioni ha portato la massa a credere che in fondo la sensibilizzazione generale fosse cambiata (in parte vero) e che quindi “andava tutto bene” (falso). Ma i dati ufficiali delle adozioni (almeno in Italia, perché in alcuni paesi europei le cose funzionano meglio) mostrano dei cali netti delle stesse negli ultimi anni. Questo vuol dire che bene o male chi adotta sono più o meno sempre le stesse persone, che gli “ospiti” delle prigioni di stato per cani (sempre in Italia) sono sempre gli stessi (più o meno 180 mila), che i cani vaganti rinselvatichiti (i cosidetti randagi) pure, e allora come mai la popolazione canina aumenta in modo imbarazzante anno dopo anno? Oggi ci sono all’incirca 15 milioni di cani in Italia, contro i 7 di vent’anni fa. E secondo lei la colpa è nostra o di chi immette centinaia di migliaia di cuccioli sul mercato per regalare nuovi clienti alle corporations del pet food e dei servizi accessori? Ma torniamo all’articolo: “La parte più gratificante del suo lavoro è la prima visita con nuovi animali”. Sicuramente c’è del vero in queste parole intime e private, ma le prime visite con gli animali significano anche nuovi clienti, probabilmente da spennare per qualche anno, ed è ovvio che un cliente che ha speso 1200 euro (o in dollaroni) per un labrador col pedigree sarà mediamente più facilitato a spendere migliaia di euro in spese veterinarie negli anni a seguire. Ci mancherebbe che non fosse contenta. Mica sono tutti come i meccanici liguri, che ti guardano male se gli porti l’auto da riparare 🙂 . “Marketing genius”? Semmai è il contrario. Noi abbiamo fallito, se fossimo dei marketing genius non saremmo qui a scrivere questa risposta al suo delirio. Qualche misera adozione ci porta a sorridere ogni tanto ma sostanzialmente la realtà è opposta a quella che lei descrive nel suo articolo. “Sebbene la campagna di marketing sia stata molto efficace – le adozioni di animali domestici hanno continuato a crescere negli ultimi anni – ha anche provocato vergogna e giudizio da parte di coloro che scelgono di acquistare da un allevatore”. La Crocker insiste sul fatto che lo slogan sia stato vincente perché le adozioni sono aumentate (negli USA), ma hanno portato ad una sorta di diffamazione indiretta per gli allevatori. Partendo dal presupposto che non ci sarà mai un numero soddisfacente di adozioni dal momento in cui i canili sono pieni e negli USA i cani vengono soppressi per legge se non adottati entro un periodo determinato (come succede in quasi tutti paesi del mondo), a noi sembra che questa affermazione sia esclusivamente un partigiana presa di posizione a difesa degli allevatori. Ma andiamo avanti. “L’implicazione che gli unici animali domestici degni di una casa per sempre sono quelli ottenuti da un rifugio o da un salvataggio, o i randagi, è fuorviante. Presuppone due idee imprecise: (1) che tutti gli animali adottabili saranno messi a dormire a meno che voi non usciate subito a salvarne uno, e (2) che tutti gli allevatori siano cattivi e acquistando un cucciolo da loro stai sostenendo il mercato del profitto ed il traffico di cuccioli importati o clandestini che genera denaro nero.” Lo slogan Adopt Don’t Shop è ovviamente uno slogan di parte, politico se volete; ma non presuppone affatto che se voi non adottate un cane lo stesso verrà soppresso. Se però la matematica non è un’opinione, ad ogni cane non adottato seguirà un cane in più immesso sul mercato ed uno in più che resterà in gabbia, e nei paesi in cui è legale l’eutanasia, molto probabilmente dopo qualche mese succederà, se non per lui per qualcun altro. E’ altresì vero che non tutti gli allevatori sono dei miserabili aguzzini, ma schierarsi in questo modo dalla loro parte la fa assomigliare a un venditore di macchine inquinanti che trova scuse per non perdere clienti al fronte di un sempre maggior successo di quelle elettriche, cara Dottoressa Crocker. “La percezione che le persone che acquistano un cane da un allevatore siano egoiste o immorali è dannosa per tutti gli animali domestici”. Il delirio raggiunge l’orgasmo, Dottoressa Crocker. Non importa la percezione che una minima parte della comunità matura su chi acquista un cane da un allevamento, perché non ci sembra ci siano state delle manifestazioni aggressive in tal senso da parte di presunti adottanti nei confronti degli acquirenti. Gli allevatori e i loro clienti sono tra le categorie più salvaguardate dal sistema, perché producono profitti e reddito, a loro volta, a tutta una serie di realtà imprenditoriali. E dato che a nessuno importa il problema dell’overpopulation canina, che è l’unico serio problema esistente ancora più dei cani vaganti, sarà quindi del tutto irrilevante soffermarsi sul giudizio che una minima parte degli operatori del settore, attivisti o semplici adottanti hanno di coloro che acquistano. E comunque sì, Dottoressa Crocker. Comprare un cane è uno dei gesti più individualisti che ci sia. Quindi è corretto parlare di egoismo (e ci spiace che lei ragioni in questo modo, visto che ha anche l’adesivo “I spay” sul suo notebook..). La questione della scelta del cane “giusto per ogni famiglia” è invece il vero “shaming slogan” perché va di pari passo con la mercificazione degli stessi e con la maschera della “scelta del giusto cane” che va tanto di moda al giorno d’oggi. Si è proiettato il rapporto con il cane come esclusivo, con la “scusa” del maggior benessere etologico, rafforzando l’idea che l’unica cosa che contava era il rapporto con il proprio singolo cane. Degli altri non fregava più nulla a nessuno. Quindi, cara Dottoressa Crocker, lei sbaglia: gli allevatori ci sono sempre stati e ci saranno sempre, purtroppo. E la proporzione dei soggetti immessi (considerando gli abusivi e gli amatoriali a scopo di lucro) è dell’ordine dell’80% sul totale. Quindi la sua è solo bassa speculazione, perché lo slogan Adopt don’t Shop non fa male a nessuno, se non alle tasche di qualche squallido trafficante di bassa lega. Che sulla scia del trend dominante, imposto strategicamente (questo sì) dalla pet industry, riesce ad insinuarsi nelle dinamiche psicologiche che tramite i social network e le pubblicità televisive si diffondono e rafforzano le razze di moda nelle famiglie. Questa è la realtà attuale in cui sono invischiati i cani. Un po’ più fortunati sono i gatti, che almeno non sono oggetto di queste attenzioni viscerali e vivono come sempre, bene o male, nella loro sublime dignità tra i rifiuti dell’uomo, osservandolo, con uno sguardo di profonda commiserazione e tristezza, perché è quello che in fondo merita.
La storia di Trilly e delle cessioni (il)legali
posted on 20/04/2019
Rispetto al passato in Italia ci sono delle leggi (la 189/2004, la 201/2010 e la 73/2015) che dovrebbero tutelare il benessere e la dignità degli animali da compagnia quando sono oggetto di maltrattamenti, abbandoni e traffici illeciti di ogni tipo. Ma la schizofrenica necessità di possedere qualsiasi cosa in stile usa e getta, per sentirsi gratificati nella massificazione commerciale sempre più vorace, si declina senza scampo anche su cani e gatti. L’ultima che abbiamo dovuto mandare giù è di questi giorni, ed è tra le più grottesche e squallide dell’ultimo periodo. Una famiglia, che chiameremo Rossi, si reca in un allevamento e contratta l’acquisto di due cuccioli di pitbull. Poco male, direte voi, avrebbero potuto adottarne uno tra le migliaia che cercano casa. Pazienza. I narcisisti comprano per alimentare inconsciamente il proprio ego, mentre l’adozione li farebbe sentire deboli e poco interessanti. Ed è parte della dinamica intrinseca dell’acquisto di un cane: far incassare danaro all’allevatore ingolosendolo nella programmazione delle prossime cucciolate, in seno alla delirante centrifuga di domanda e offerta, l’origine di (quasi) tutti i mali che spesso ne seguono. A partire dall’importazione clandestina di migliaia di cani dall’Est Europa e dei relativi ed arcinoti traffici milionari. In relazione ai quali vengono sempre incolpati esclusivamente i trasportatori e gli allevatori dei paesi d’origine (Ungheria, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria) senza mai puntare il dito al cuore della questione. La domanda proviene dai paesi di destinazione e i mandanti sono i veri responsabili: faccendieri e allevatori italiani, spagnoli, francesi e anche ciprioti e maltesi. Che invece non vengono stigmatizzati nè messi in discussione, perché servono al sistema. Senza di loro buona parte della pet economy fallirebbe entro un paio d’anni. La famiglia Rossi non è sola, è accompagnata da Trilly, una buffa e simpatica cocker di sei anni che guarda dal baule dell’auto ignara di quello che gli sta per succedere. Mentre il gruppetto completa la transazione, tra foto, video e carezze plastificate, una donna apre il bagagliaio della vettura. Trilly, scodinzolante, probabilmente stava pensando di scendere ad annusare i cuccioli e fare due passi. Ma in meno di un minuto si trova dentro un box di ferraglia arrugginita e con qualche ciotola sporca e ammuffita sparsa qua e là. Cinque minuti dopo la famiglia Rossi risale in auto, accende il motore e sfreccia via con i due cuccioli appena acquistati, lasciando Trilly lì. Incuranti di qualsiasi conseguenza che il loro gesto avrebbe comportato, emotivamente e fisicamente, per Trilly. Un gesto ignobile ed inqualificabile, paragonabile ad un abbandono in autostrada. Ma mentre l’abbondono in autostrada, assieme ad altre nefandezze tanto care agli usi e costumi dell’italiano medio, è stato ridimensionato con gli aggiornamenti legislativi di cui sopra, che hanno modificato o introdotto gli articoli relativi del codice penale, l’abbandono verso terzi (gentilmente rinominato cessione di proprietà) è perfettamente legale. E’ il buco nero alla base di ogni tipo di criticità legata agli animali di affezione. Secondo gli esperti invece, tra cui veterinari e commedianti cinofili riuniti, associazioni – private o parastatali – alcune dedite ad una “presunta” protezione animale e altre alla difesa dell’ambiente, il problema si chiama randagismo. E’ uno dei metodi più usati: confondere le acque e le opinioni della società distratta. Però i numeri parlano, e anche chiaro. Negli ultimi anni l’incremento dei cani sul territorio nazionale è di circa 350.000 unità ogni 12 mesi, il 40% in più dell’aumento medio degli ultimi quarant’anni. L’incremento di presunti cani randagi o rinselvatichiti (che poi sono nella quasi totalità i secondi, allontanati dai centri abitati dalle stesse persone che li hanno fatti nascere: pastori, cacciatori e cagnari vari) è invece stabile o comunque pari al 3% dell’aumento del totale. Il 63% dei 350.000, però, è rappresentato dall’immissione di nuovi soggetti che provengono da allevamenti con affisso, allevamenti amatoriali, cucciolate di privati a scopo di lucro, importazioni varie (lo dice Anmvi qui, nel rapporto “I proprietari e gli animali da compagnia“presentata in sinergia con Zoomark International). E come se non bastasse, il 79% delle cessioni di proprietà arrivano proprio da questi ultimi. Ma l’emergenza è sempre la stessa. Il randagismo. Così tutti possono continuare a prendersi una fetta della torta. Allevatori, allevatori cinofili, cacciatori, ENCI, gestori dei canili, trafficanti, disoccupati in cerca di soldi facili e molti altri ancora. Più gente mangia e meno gente si lamenta, tanto i cani non parlano. Per rendere onore al merito però, almeno una cosa è cambiata; dopo quasi trent’anni dall’introduzione del microchip e dell’anagrafe canina i trafficanti e gli allevatori fanno fatica a far sparire gli scarti di produzione ed i ritorni indesiderati. E quando serve, basta contattare qualche collega, un rescue di razza o un’associazione specializzata in ritiro e riaffido e rifilare loro il malcapitato rifiuto di turno, che ormai è adulto e non serve più. Una soluzione si trova sempre. Prima facevano un’altra fine, sparati e cacciati in un freezer, non se n’è quasi mai accorto nessuno. Esiste una soluzione per porre fine a questo scempio? Certo che esiste. Si chiama tassa sulle cessioni; unico modo per educare e responsabilizzare. Al di fuori di certificati motivi di salute o di estrema indigenza, se vuoi scaricare il tuo cane (o il tuo gatto), devi pagare. Non 12€, però. Facciamo 350. Probabilmente ci sarà un prima fase di instabilità e parecchi cani faranno una brutta fine, ma alla media distanza cambierebbe molto, e saremo sicuramente una società migliore. E Trilly? Trilly è stata fortunata, non vedrà più i suoi vecchi “padroni”, ma sarà presto adottata da una splendida famiglia che le farà dimenticare tutto. E quella famiglia potreste essere voi, le audizioni sono aperte. Scrivici qui se la vuoi adottare. Ma quante Trilly non saranno così fortunate? Tante, troppe.
Aggiornamento 04/06/2020: Purtroppo Trilly non ce l’ha fatta. Era piena di metastasi. Vien da se che la situazione adesso si complica. Chi ha “mollato” il cane non si è nemmeno degnato di fare una cessione. Si erano accorti che la povera Trilly stava male, e l’hanno lasciata morire sola in un box di una pensione. Siamo senza parole e stiamo valutando cosa fare. La rabbia è notevole.
About hunt and huntingdogs by Regis Lockman
posted on 21/01/2019
It is around 85 thousands (at least) across the Eurozone, which is the area we have realistic data on, the number of dogs got lost, injured or dead by hunting exercises every season. It’s a huge number.
The impact of abuses and neglect on dogs is even greater of what appears. Most of them die starving or got locked in a municipality’s kennel filthy cage. Hunters seldom get in affection with their dogs; they literally use them as hunting tools and rarely spend time and energy to search and rescue them back from the hunt’s field. Most of those dogs got dumped by poachers and hunters themselves; many times down by some canal or hanged to a tree. Follows that they will be searching and buying more puppies to train for the season to come. Many times happen that they need adult dogs to fill te losses to cover the last hunting month (January in Italy for example), and they get them from the illegal martket, that 50% of the times in rural areas means stealing dogs from Rescues ans Shelters and from others.
“Almost the half of the dogs we actually rescue and rehome every year come from hunters and their market”. Says Flavia Garau, from a shelter and ong from south of Italy. Actually there’s no control from vet authorities on these dogs, and this is proven by the numbers of huntingdogs found without chip, nearly 90%. There’s no compassion on these dogs as they’re considered nothing. Media generally protect hunters and bloodsports for the abused and consumed theory of “traditions”. But the new generations are smart, the average age of hunters is about 65, there’s no enough generational change.
This is hunting, it looks like horror movies, but it’s reality.
Why we’re against legal hunting by Wild Jepa
posted on 15/12/2018
Hunting is nothing but poaching with a permit. It encourages trade in wildlife products which hastens the extinction of the species. Skin and fur trade resulted in the extinction of several tiger species and leopards too while ivory, gallbladder, horn and fin trades resulted in the deaths of thousands of innocent animals like elephants, bears, rhinos and sharks. All this for what? Well, to capture the bizarre demand for Chinese medicine which has no scientific value whatsoever.
Where is the scientific evidence that people who eat monkey brain, grow smarter and those who eat lion’s heart grow braver, and perform better if they eat tiger penis? Why are we doing this to those who cannot defend themselves and who are simply going about their life? Think about it. Vested interests exist everywhere but ignorance is a major cause too and it is our responsibility to fix it before it is too late.
The two-legged creatures reduce hundreds of wildlife species to extinction every year for sport, trophy and profit. With the finest fauna gone rapidly, the earth is becoming a lot poorer and uglier.
In today’s world, the pros and cons of hunting should be apparently clear as hunting for sustenance has given way to hunting for sport. Even more so hunting plays a very destructive role in the environment. When hunters kill too many animals to satisfy a demand, it threatens the survival of the species. The cougar was also locally exterminated in most areas of the US to protect livestock. However, the elimination of such an apex predator led to explosions in the deer population.
The reward of hunting, if any, cannot match the price the wildlife pays. Countless animals suffer prolonged painful deaths when they are injured but not killed right away. For instance, the wild animals are more often than not shot two or more times. It would take 15 minutes or more for the poor beasts to die so hunters can take pleasure watching the animals die slowly and painfully.
The US Hunters’ Alliance estimates that 50% of animals who are shot with crossbows are wounded but not killed right away. As they get wounded they go through starvation because their ability to hunt natural prey is incapacitated by the injury. Under such circumstances cougars turn man-eaters. Same is the case with incapacitated tigers and panthers that turn man-eaters and terrorize villages living in the jungles of India.
Hunting disrupts migration and hibernation patterns and destroy families. For animals like wolves who mate for life and live in close-knit family units, hunting can devastate their entire communities.
The stress that hunted animals suffer because of the fear and the inescapable loud noises and other commotion that hunters create, also severely compromises their normal eating habits making it hard for them to store the fat and energy that they need in order to survive the winter.
Unfortunately, the so-called Wildlife Conservation Programmers almost wiped out wolves, coyotes and bears in Alaska. To attract more hunters and revenue from the sale of hunting licenses, “conservation” programs make sure that they inflate the numbers of animals they call game for hunters to harass, maim, and kill. Deer and bison also pay the price. What kind of insane world are we living in?
Hunting is not needed to control the numbers. The two billion-year-old system works fine on its own. If left alone, animal population would regulate their own numbers. Those who truly care about wildlife donate money to save habitats without expecting a dead body as a trophy in return.
If decreasing herd size were really the objective, wouldn’t birth control via immune contraception make more sense? This is a kinder nonviolent way to reduce birth rates.
Again, hunting is not needed to regulate animal population control. And there are still a good number for predators out there that man need not take the role of so-called guided predators to restore nature’s balance.
Corruption and insufficient sentencing deterrents also create regulation difficulties. Police and forest officials are often working in cahoots with the poachers. Without the political will, Thailand and southeast Asia risk a massive and irreversible loss of biodiversity as natural resources continue to be plundered overtime.
Although rare, inevitably they’re going to be hunting accidents. Most of these are caused when hunters mistake other hunters for prey.
Well, once you familiarize yourself with the pros and cons of hunting, it is up to you to decide where you stand. Hunting is a negative outdoor experience inflicting violence and causing suffering to millions of majestic animals. One need not hunt to gain knowledge about nature and wild life.
Just walking in the wild and using the power of observation can help you gain insight into the wonders of nature. This way you can learn survival skills too, if you ever find yourself stranded in the wild.
Not long ago, humans had to hunt to survive but in today’s world of science and technology you don’t need to do that anymore unless you are starving in a war-torn country like Somalia.
Anti-hunters and anti-poachers contribute a lot simply by respecting the continued existence of animals that they love. So sound off! The greatest sound-off ever came from the Dalai Lama in 2006 during Kalachakra in Amravatti, India and the sale and use of animal skins and products in Tibet came to a complete halt overnight. That in turn put an end to the poaching and smuggling wildlife goods that go through Majnuka-tilla, Old Delhi to Tibet, China, Taiwan, Singapore, Malaysia and Thailand.
For some, hunting maybe family tradition that goes back for centuries where their ancestors had to hunt to survive but today hardly anyone needs to hunt to subsist. Also, hunting and killing can never restore your soul (no evidence that soul exist but well) and to be one with nature. Hunting is killing. Period.
At the end of every hunt, if you have some conscience left and if you are capable of empathy then you should be filled with shame and remorse for having slaughtered beautiful innocent living beings. No, you call it commune with nature? In this modern form of hunting, there’s every danger that many wildlife species will be go extinct in the next hundred years.
Too many people in this world spend too much time trying to cause others to suffer under various sick rationalization only to experience cheap thrills at others’ expense. Don’t people really have no idea how magnificent these animals are?
As a human being and as a man I am ashamed of the fact that, just one example, I saw eight hunters who by the way happen to be white, armed to the teeth and provoked and fired at just one charging lion and they lost. 8 against 1. What a shame!
Here let me go against my own principle for a minute that is if you crave dangerous thrill, go one on one on foot with a lion or a tiger in its habitat. The lion is armed with fangs, claws and instinct but no excuses to you. You are armed with a high powered modern rifle and the intellect. Any takers? I am sure many of you hunters will pee in pants. Be fair.
I really do not care what those whose feet seldom leave the cocoon of pretexts have to say about what it is like being stalked, chased and shot at. Imagine your parents or children being pulled upward with a fish hook in the mouth and you protest and some vested interest shows up and then tells you not to worry about it and that after all they are going upward, pointing to the heaven. Imagine what would go through your heart?
When I’ve had a chance to verbally cross swords with hunters I have learned that a few, if any of them, have a clue what it is to commune with nature.